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IL PRINCIPE E I BRIGANTI

di GIUSEPPE CLEMENTE

La storia di MICHELE DE SANGRO e di ELISA CROGHAN per l’interesse e la curiosità che ha saputo suscitare nel corso degli anni sembra tratta da un libro di CAROLINA INVERNIZIO, ma è una storia vera e ben nota, che non è il caso di rievocare in questa sede. Quello che qui ci preme far conoscere è il difficile rapporto, finora inedito, del principe di San Severo con le bande dei briganti che razziavano il territorio. Spuntata tra le polverose carte d’archivio c’è una lettera autografa che il nobiluomo, che si firma DE SANGRO, tornato dopo la caduta dei Borbone per un breve periodo a “casa sua”, scrisse, piuttosto stizzito, nell’agosto del 1862 al generale ALFONSO LA MARMORA, Comandante del VI Gran Comando Militare di Napoli.  Lamentava “i danni grandissimi che soffrono” le sue proprietà “fatte segno speciale alla ferocia dei briganti”, specie nel Distretto di San Severo, dove “la posizione diviene dispiacevolissima essendo i coloni decisi ad abbandonare la coltura perché scorati dall’insufficienza dei mezzi di repressione al brigantaggio e questo riduce a metà il mio reddito”. Aveva appena ricevuto il terzo biglietto di ricatto dai briganti e si era rifiutato di pagare, non tanto, scriveva il Principe, a causa delle severissime disposizioni per le quali bastava un nulla per essere accusato di manutengolismo, quanto “per rispetto al Governo e per la mia dignità”. Al generale chiedeva una maggior tutela dei suoi beni e, nella speranza che la sua richiesta fosse benevolmente accolta, permise ad alcuni reparti dell’8° Reggimento Fanteria, distaccati a Torremaggiore proprio per contrastare la banda di MICHELE CARUSO, di alloggiare in locali di sua proprietà. E aveva ben ragione il principe a lamentarsi, perché la tenuta di Santa Giusta e altre sue masserie, tutte nella locazione di Guardiola, sorgevano lungo quello che era ai tempi il tratturello Foggia-S. Nicandro, non lontano dal punto in cui incrociava il regio tratturo L’Aquila-Foggia. Era una via armentizia di minore ampiezza, ma assai importante per i collegamenti tra le zone montuose e la pianura, tra il Gargano e i Monti Dauni, cosparsa di locazioni, poste e riposi, che negli anni del brigantaggio era divenuta una “strada erbosa” molto trafficata dalle bande di MICHELE CARUSO, TITTA VARANELLI, ANGELO MARIA DEL SAMBRO e di altri, che nelle numerose masserie armentizie avevano la possibilità di procurarsi tutto ciò di cui avevano bisogno.  Il frequente passaggio delle “comitive” lasciava sempre evidenti segni di saccheggio e distruzione. Il Principe ci teneva alla valorizzazione delle sue terre, come dimostrò dopo il suo definitivo rientro a Torremaggiore insieme ad ELISA CROGHAN avvenuto nel 1870. Incrementò l’attività produttiva, in particolare quella cerealicola, usò le moderne macchine agricole a vapore fatte venire dall’Inghilterra e anche dall’America, che furono accolte con entusiasmo dai contadini e impiantò con innesti venuti dalla Francia nuovi vigneti e oliveti. Ebbe così inizio il mito dell’olio e del vino bianco di San Severo. La sua fama di agronomo e perito agrario si estese ben oltre i confini della regione. Divideva il suo tempo tra Torremaggiore e Santa Giusta che divenne una tenuta modello. In questo immane lavoro gli fu fedele compagna ELISA, con la quale condivise tutte le scelte. Alla morte di MICHELE iniziarono le interminabili controversie giudiziarie riguardanti i suoi beni, che impegnarono la tenace “Dama forestiera” fino alla sua morte (1912), ma che terminarono definitivamente solo nel 1934. Ma questa è un’altra storia da raccontare in una prossima occasione.

 

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