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Don Canelli, un prete in Comune per i bimbi bisognosi e le giovani madri

Nella provincia e in città don Canelli da taluni era visto come un fuori classe ma in verità era un vero genio della carità. Nella sua geografia umana non esistevano confini, contrapposizioni,differenze ideologiche. In ogni dove, tutti erano fratelli da aiutare. Non esistevano quelli che erano dentro la chiesa e quelli oltre la porta della chiesa: esisteva la persona umana, specie se indifesa, con i suoi bisogni e le sue necessità. Non esisteva “l’ecclesialese” e la lingua locale ma, per usare le parole di Papa Francesco, egli usava con tutti il dialetto “dell’intimità”, la lingua del cuore perché era la più vicina e la più comprensibile da tutti. Don Felice ne era fermamente convinto: la misericordia con cui si soccorre la miseria altrui è il sacrificio a Dio più accetto: per questo si spendeva, si stancava vivendo e facendo ovunque le opere di misericordia, ovunque c’era da aiutare, anche al Municipio. Verso la fine degli anni trenta, conosciuto per la sua bontà d’animo, capacità organizzativa e stimato dal sindaco, venne scelto con altre personalità cittadine, tra cui diversi medici, per lavorare a debellare la grave piaga sociale della mortalità infantile e dell’abbandono delle madri in difficoltà. Nominato segretario comunale dell’“ONMI” – Opera Nazionale Maternità e Infanzia –, Canelli si pose a capo dell’associazione per prodigarsi a favore dei tanti bambini esposti, malformati o bisognosi di cure, nonché delle giovani madri che morivano di miseria e povertà. Voleva raggiungere tutti con tutti. Voleva incontrare la gente nella sua esistenza quotidiana e non solo nei tradizionali canali del culto e della devozione ed insegnare ai cattolici che il Vangelo è fatto per essere praticato nella solidarietà e che la liturgia è vera quando è il motore della dedizione verso il prossimo e della tenerezza verso chi è in difficoltà. Don Felice si organizzò così: divise la città in cinque zone ed assegnò ad ogni parrocchia tre membri del comitato comunale tra cui una Dama della Carità. Distinse l’assistenza nei tre rami specifici: 1. Ambulatorio pediatrico. 2. Cultura pediatrica. 3. Assistenza occasionale a madri e minori nelle forme volute dall’Opera Nazionale. Chiese ai giovani dei Circoli Cattolici, di cui era il responsabile diocesano,di raccogliere nelle macellerie un po’ di carne e nelle salumerie un po’ di formaggio, lardo e pomodori da donare ai bisognosi. Alle Dame di Carità chiese di recuperare il latte in polvere per le madri assistite dal dispensario. Oltre ai medici coinvolse agricoltori, banche, responsabili di cinema, ecc. Creò attorno a sé un movimento di uomini e donne che si facevano carico delle necessità dei più deboli e indifesi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana e in nome della loro fede più genuina. Don Canelli promosse la cultura della cura tirando fuori le migliori energie di cuore e di intelligenza nel bene di tantimentre li accostava alla vita dura dei più vulnerabili. Don Felice lo aveva capito bene: «Non ha valore un’ora di pietà (preghiera), se questa non è un contributo al bene della società». Perfettamente allineato con Papa Francesco che invita a non relegare la fede alla segreta intimità delle persone rendendola così ininfluente sulla vita sociale e nazionale.

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